domenica 31 gennaio 2010

dovrei gridare


Non c'è modo di farsi sentire. Questa mattina con Anna, io parlavo e lei lì a bocca aperta a fissarmi. Adesso, da dieci minuti chiedo questo caffè, tengo lo scontrino in mano con la mancia bene in vista ma quest'uomo gesticola, corre da una parte all'altra, non mi sente. Dovrei gridare, ma io non sono abituata a gridare.A casa mia si parlava sempre a bassa voce.

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mercoledì 27 gennaio 2010

magari vedete una con una agenda rossa..

magari vedete una, con una agenda rossa, ma anche di un altro colore, che scrive fitto fitto, nei luoghi più impensati, per tanto tanto tempo, senza soste, senza cali d'ispirazione, senza cancellature, non fatevi impressionare, non pensate - oh, che intellettuale! - ; pensate che sia una come me, che scrive la stessa frase, di seguito, per 30 volte, sperando che questo le faccia bene.
vi farà sentire meglio.

così come faccio io


Ieri l'altro ho incontrato a Piazza Fiume davanti alla Rinascente Marisa. Io mi chiamo Marisa. Certo, molte volte, fra amici, a scuola, mi è stato detto:- Lei mi ricorda qualcuno-. Ma vederla lì, quest'altra Marisa che guardava le vetrine esattamente così come faccio io..che potevo fare, ditemi, che potevo fare se non tirarle una rivolverata?

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vi prego editori, vi prego, pubblicate tutto di Goliarda Sapienza.

domenica 17 gennaio 2010

e guardare negli occhi


Io, veramente, volevo solo dormire e invece son morta. Non lo hanno capito. O meglio hanno creduto a quello che facevo, come sempre del resto. Anche quando pasrlavo mi credevano. Poveretti, credono a quello che si dice. Basta fare la faccia seria e guardare negli occhi fissamente. Hanno creduto e ora piangono.

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sabato 16 gennaio 2010

e stare zitta


Non si può chiedere troppo alla vita, e lei aveva chiesto troppo.
Poi aveva cercato di rimangiarsi, di chiedere di meno, ma gli altri lì, terrorizzati, a guardarla, a scusarsi ed a sparire.
Anche adesso: Carla doveva venire a trovarla e invece all'ultimo momento:
"Sarei venuta ma, sai, ma questa è l'ora che Puccio deve mangiare e se non gli faccio la pappa io non la digerisce".
Bene lei non le aveva chiesto di venire e ora non doveva sembrare arrabbiata e stare zitta. Non bisognava chiedere troppo, bisognava stare zitti ed aspettare.

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venerdì 1 gennaio 2010

ero là



"Caro André,
mio amato amore di mille anni fa, la bambina che ti ha dato questa lettera si chiama Dira. Le ho detto di fartela leggere, appena arrivato alla locanda, prima di farti salire da me. Fino all'ultima riga. Non cercare di mentirle. Con quella bambina non si può mentire.
Siediti, allora. E ascoltami.
Non so come hai fatto a trovarmi. Questo è un posto che quasi non esiste. E se chiedi della locanda Almayer, la gente ti guarda sorpresa, e non sa. Se mio marito cercava un angolo di mondo irraggiungibile, per la mia guarigione, l'ha trovato. Dio sa come hai fatto a trovarlo anche tu. Ho ricevuto le tue lettere, e non è stato facile leggerle. Si aprono con dolore le ferite del ricordo. Se io avessi continuato, qui, a desiderarti e ad aspettarti, quelle lettere sarebbero state abbagliante felicità. Ma questo è un posto strano. La realtà sfuma e tutto diventa memoria. Perfino tu, a poco a poco, hai cessato di essere un desiderio e sei diventato un ricordo. Mi sono arrivate le tue lettere come messaggi sopravvissuti a un mondo che non esiste più. Io ti ho amato, André, e non saprei immaginare come si possa amare di più. Avevo una vita, che mi rendeva felice e ho lasciato che andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce a immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarti, nè di fermarmi. Sapevo che lo avrebbe fatto lei e lo ha fatto. E' scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame.

Poi sono arrivata qui. E questo non è facile da spiegare. Mio marito pensava fosse un posto dove guarire. Ma guarire è una parola troppo piccola per ciò che succede qui. E semplice. Questo è un posto dove prendi commiato da te stesso. Quello che sei ti scivola addosso, a poco a poco. E te lo lasci dietro, passo dopo passo, su questa riva che non conosce tempo e vive un solo giorno, sempre quello. Il presente sparisce e tu diventi memoria. Sgusci via da tutto, paure, sentimenti, desideri: li custodisci, come abiti smessi, nell'armadio di una sconosciuta saggezza, e di un'insperata pace. Riesci a capirmi? riesci a capire come tutto questo - sia bello?

Credimi, non è un modo, solo più lieve, di morire. Non mi sono mai sentita più viva di adesso. Quel che io sono, è ormai successo: e qui, e ora, vive in me come un passo in un'orma, come un suono in un eco, e come un enigma nella sua risposta. Non muore, questo no. Scivola dall'altra parte della vita. Con una leggerezza che sembra una danza.

E' un modo di perdere tutto, per tutto trovare.

Se riesci a capire tutto questo, mi crederai quando ti dico che mi è impossibile pensare al futuro. Il futuro è un'idea che si è staccata da me. Non è importante. Non significa più nulla. Non ho più occhi per vederlo. Ne parli così spesso, nelle tue lettere. Io faccio fatica a ricordarmi cosa vuol dire. Futuro. Il mio, è già tutto qui, e adesso. Il mio sarà la quiete di un tempo immobile, che collezionerà istanti da posare uno sull'altro, come se fossero uno solo. Da qui alla mia morte, ci sarà quell'istante, e basta. Io non ti seguirò, André. Non mi ricostruirò nessuna vita, perchè ho appena imparato ad esser la dimora di quella che è stata la mia. E mi piace. Non voglio altro. Le capisco, le tue isole lontane, e capisco i tuoi sogni, i tuoi progetti. Ma non esiste più una strada che mi potrebbe portare laggiù. E non potrai inventarla tu, per me, su una terra che non c'è. Perdonami, mio amato amore, ma non sarà mio, il tuo futuro. C'è un uomo, in questa locanda, che ha un buffo nome e studia dove finisce il mare. In questi giorni, mentre ti aspettavo, gli ho raccontato di noi e di come avessi paura del tuo arrivo e insieme voglia che tu arrivassi. E' un uomo buono e paziente. Mi stava ad ascoltare. E un giorno mi ha detto: "scrivetegli". Lui dice che scrivere a qualcuno è l'unico modo di aspettarlo senza farsi del male. E io ti ho scritto. Tutto quello che ho dentro di me l'ho messo in questa lettera. Lui dice, l'uomo col nome buffo, che tu capirai. Dice che la leggerai, poi uscirai sulla spiaggia e camminando sulla riva del mare ripenserai a tutto, e capirai. Durerà un'ora o un giorno, non importa. Ma alla fine tornerai alla locanda. Lui dice che salirai le scale, aprirai la mia porta e senza dirmi nulla mi prenderai fra le braccia e mi bacerai. Lo so che sembra sciocco. Ma mi piacerebbe succedesse davvero. E' un bel modo per perdersi, perdersi uno nelle braccia dell'altra. Niente potrà rubarmi il ricordo di quando, con tutta me stessa, ero là.

tua Ann"

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contemplare sereni


Da Langlais imparò che tra tutte le vite possibili, a una bisogna ancorarsi per poter contemplare, sereni, tutte le altre.

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Volevo salvarmi


Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così... Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito troppo tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l'ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. E' lì che salta tutto, non c'è verso di scappare, più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non te lo puoi nemmeno immaginare.

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